Elsa Morante: scoprire di essere amati
Durante l’incontro del 22 Gennaio 2020 Paolo di Paolo ha introdotto la figura di Elsa Morante, riferendosi in particolare ai romanzi e alle vicende più importanti della vita della scrittrice, utili a delineare la sua evoluzione letteraria.
Egli afferma che la Morante è l’unica scrittrice donna la cui fama e autorevolezza sono state pari o addirittura superiori rispetto a molti altri autori coetanei o più anziani del ‘900; con ciò, intende sottolineare la sua grande forza d’animo, in quanto è stata capace di affermarsi come autrice di rilievo nonostante le difficoltà che un mondo, da lui definito misogino, presentava. Elsa Morante stessa non ha mai tollerato di essere denominata in declinazione femminile per ciò che riguardava la sua professione, poiché ciò avrebbe potuto gravare sulla sua importanza rispetto alla controparte maschile.
Nasce a Roma da una famiglia sotto-borghese, quasi proletaria: per cui la casa in cui è cresciuta era sostanzialmente priva di libri, nonostante la madre fosse una maestra. Per entrare nel mondo della scrittura, Elsa compì la tipica trafila novecentesca: iniziò ad inviare già da adolescente delle lettere ai giornali, proponendosi come autrice di racconti, che inizialmente pubblicò sul Corriere dei Piccoli.
Paolo di Paolo ha raccontato che la Morante prima di iniziare la stesura di un romanzo scriveva una lista di parole, aggettivi e sostantivi, che colpivano anche per la tessitura visiva che presentavano: infatti, queste liste erano caratterizzate da alternanze di colori. Lei, dice di Paolo, impiegava questo tipo di procedimento in modo da entrare in una dimensione di rapporto intimo con il linguaggio, per poi collocare in modo sparso i termini all’interno dell’opera. Scrivere un romanzo era per lei come l’atto definitivo della sua carriera.
Ancora oggi è impossibile capire i suoi riferimenti letterari: Paolo di Palo afferma che Elsa Morante è l’unica scrittrice che non ha modelli antecedenti ai quali si ispira. Al contrario di altri autori, come per esempio il marito Alberto Moravia, che scrivevano regolarmente ogni giorno bozze o pagine di romanzi, lei veniva presa da una sorta di sovreccitazione della mente, per la quale si chiudeva in casa e scriveva furiosamente a volte addirittura per anni, uscendone estenuata. Questa procedura è interpretata da di Paolo come una vocazione di poeta, però prestato alla narrativa; questo portava a una distinzione radicale della trama e ad una discontinuità di pubblicazione che ha caratterizzato i suoi unici quattro romanzi.
Una frase molto interessante di Elsa Morante è la seguente: << I miei lettori devono ancora nascere. >> ; con questa affermazione, intendeva assolutizzare la sua vocazione, proiettandosi su un orizzonte postumo. Infatti, la Morante aveva la percezione che la comprensione assoluta delle sue opere non fosse nelle possibilità del pubblico a lei contemporaneo, ma a lei postumo. Quella che lei fa è un’affermazione estremizzata, come se la sua letteratura fosse un gesto estremista di una persona che chiede al mondo un’attenzione impossibile che non è dato ricevere fino in fondo. La sua vita è sempre stata caratterizzata da un senso di incomprensione e incompletezza, che l’ha portata ad essere una persona negletta, reietta.
Come anche testimoniato dall’amico Pasolini, era una donna difficile, che pretendeva dagli altri qualcosa che non erano in grado di darle: era difficile avere un rapporto di costanza affettiva con lei, tali erano i suoi sbalzi d’umore e le pretese quasi tiranniche in un rapporto anche di amicizia.
Il primo romanzo che pubblica Elsa Morante è intitolato “Menzogna e sortilegio”, ed è un romanzo familiare, che racconta appunto la storia di una famiglia articolata, caratterizzata dall’intreccio psicologico dei personaggi: un’analisi approfondita mediata da una figlia adottiva per scoprire quanta menzogna e quanto sortilegio vi siano all’interno di qualsiasi famiglia. Esso viene considerato un romanzo “controtempo”, inattuale: un fiore raro ed eccentrico ma anacronistico. È un romanzo che si avvicina alla corrente ottocentesca che ha caratterizzato i romanzi di un Balzac o di una Jane Austen e di altri autori di quel periodo; per questo, viene criticata leggermente nel Novecento, nonostante la sua scrittura venga molto apprezzata.
Il suo romanzo più celebre è “L’Isola di Arturo”, uscito nel 1957, ed è completamente differente dal primo. La trama tratta di un ragazzo adolescente durante un’estate sull’isola di Procida, sulle coste campane, in cui l’ambientazione appare come fuori dal tempo. Il punto più rilevante è la trasformazione di Arturo da bambino ad adolescente; il padre Wilhelm è spesso assente per lavoro, ma Arturo lo ama e lo sente come modello perfetto da seguire e idolatrare, sebbene con un’ombra minacciosa e oscura. La comparsa della compagna del padre è la svolta che fa iniziare il travaglio interiore di Arturo: l’assenza della madre biologica (e quindi del suo amore), incidono particolarmente su di lui, il quale trova appunto in Nunziatella prima un sostituto all’amore paterno, per poi iniziare a provare un desiderio quasi incestuoso nei confronti della matrigna. Arturo è cresciuto, non è più un bambino: pulsa in lui un nuovo sentimento di portata troppo grande per il suo fragile cuore. Avviene addirittura un bacio tra i due, ed è in questo momento che Arturo prova concretamente cosa sia il rifiuto, il non essere amati, perché Nunziatella lo ama come figlio, ma non di più. Il giovane protagonista, amareggiato e affranto da questa verità indissolubile, decide di lasciare l’isola, senza mai voltarsi per rivederla, ma in un nuovo corpo, adesso adulto e con nuovi occhi, forse improntati a nuove sofferenze. L’amare non implica l’essere amati.
Scoprire di essere amati perché è la verità che Arturo conquista durante la sua crescita all’interno del romanzo; la consapevolezza di essere oggetto di desiderio di qualcun altro porta ad un cambiamento radicale che fa scattare una visione diverse del mondo e della visione delle cose. Nonostante ciò il punto cruciale di tutti i suoi libri non è la consapevolezza di essere amati; la tragedia è scoprire di non essere amati, ed è ciò che fa la differenza nella nostra esistenza. Laddove non si è amati, si è condannati: è sovversivo l’amore che si riceve o non si riceve dagli altri, non quello che noi proviamo.
Nel 1968 Elsa Morante pubblica “La Storia”: un libro totalmente diverso dai precedenti, un libro considerato dalla critica quasi militante, nonostante lei non fosse mai stata una scrittrice engagée, ovvero impegnata politicamente. Elsa pubblica questo romanzo totalmente anacronistico rispetto al tempo in cui esce, cioè il 1974, poiché ambientato nel periodo della Seconda Guerra Mondialee quindi distante dagli anni ’70, caratterizzati dalla lotta armata, dal terrorismo e dalle Brigate Rosse: i cosiddetti Anni di Piombo dell’Italia. Nonostante fosse considerata un’opera militante, il romanzo alimentò una imponente polemica tra gli scrittori e gli intellettuali italiani, anche se la Morante voleva solo rappresentare la storia dell’uomo (“uno scandalo che dura da diecimila anni” è il sottotitolo di questo romanzo) come una tragedia da cui non ci si salva, che si abbatte sugli umili e non prevede redenzione. Secondo la morante, lo scrittore deve calarsi in quel mondo e dare voce a chi non ha voce, raccontare le vicende come se incarnasse visivamente la nemesi della storia.
Pubblica il suo ultimo romanzo, “Aracoeli”, durante il periodo della vecchiaia: Elsa era costantemente pervasa dal terrore dell’invecchiamento, infatti vive questa parte della sua vita in modo totalmente pessimistico, in modo solitario e tentando due volte il suicidio. “Aracoeli” è considerato un altro romanzo controtempo: viene pubblicato nei primi anni ‘80, considerato tempo di speranza, nel quale però la libertà guadagnata esplodeva e precipitava nelle ombre dell’AIDS e dell’eroina; il romanzo presenta un tono cupo e profondo, marchiato dalla sofferenza radicale del protagonista. Egli è omosessuale e si sente reietto, come se fosse stato sputato fuori dalla felicità altrui; crede perciò che l’unico luogo sicuro sarebbe la pancia di sua madre, che oramai è morta, e vede come unica salvezza il non essere al mondo: vorrebbe non essere mai stato partorito. Si tratta di un libro modernissimo, un’interrogazione dell’esistente in base alla quantità di amore che il protagonista riceve, che purtroppo è insufficiente e che lo condanna a cercarlo costantemente, senza però trovare pace.
In conclusione, il punto più interessante della carriera narrativa di Elsa Morante è l’originalità delle sue opere, tra le quali scorre un filo, sottile ma robusto, ovvero la quête di un amore, talora disperata e spesso inconclusa. Ma il suo obiettivo principale era quello di dimostrare alla società ancora di tipo patriarcale che l’universo femminile potesse esistere al pari di quello maschile nel mondo della fama e della riverenza, nell’armonia sociale e letteraria.
Elsa Morante
Paolo Di Paolo